giovedì

Quanti muri devono ancora cadere all'Est e all'Ovest

Il 25 aprile 1999, sulla Stampa, Barbara Spinelli scriveva che ... “L’idealismo senza responsabilità è annidato in una sinistra che continua a esser patologicamente attratta da Serbia e Russia, e corre a Belgrado o a Mosca per corteggiare comunisti riconvertiti al nazismo”... L’editorialista della Stampa credeva (24 gennaio) che “le guerre di oggi tendono quasi tutte a essere guerre terroriste contro i civili (molto più del primo e secondo conflitto mondiale) e dunque al dilemma non si sfugge: o l’Europa si assume il compito di pacificare le proprie aree di interesse vitale – a Est e Sud Est, a Sud nell’Algeria insanguinata dall’integralismo islamico - o sarà continuamente e necessariamente sommersa da fuggitivi e da migranti per metà economici, per metà politici.

...l’editorialista della Stampa invitava l’opinione pubblica a non credere alle mitologie e al ruolo del Kosovo nella memoria storica e psicologica della Serbia. Quando c’è da intervenire, bisogna farlo e basta: “Inavvertitamente tendiamo a divenire prigionieri delle memorie serbe, se continuiamo a imitare il loro politicizzato rosario sacro di date dannate o gloriose. Questa lunga prigionia nelle apocalissi serbe spiega l’esiziale ritardo, con cui gli Occidentali hanno capito la Slovenia e Croazia, poi la Bosnia e adesso l’epurazione etnica in Kosovo. Eppure non sarebbe stato tanto difficile comprendere, sin da quando cadde il Muro nell’89. Non sarebbe così confusa l’idea che ci si fa oggi del Kosovo, e dei pericoli della guerra Nato. Bastava mettersi più attentamente in ascolto di quel che dicono gli ex dissidenti anticomunisti; o gli intellettuali, i cineasti, i romanzieri che hanno forgiato il pensiero epico della guerra nella nomenclatura serba. Qualsiasi dirigente dell’area postcomunista sa perfettamente la natura della minaccia, e la sua ubicazione. Lo dice da anni Havel, lo ha rammentato ieri alla radio francese il Presidente dell’Estonia. Per costoro è assolutamente ovvio, quel che accade in Kosovo: in Serbia regna l’ultimo segretario generale del comunismo europeo, e lì il Muro non cade pacificamente ma occorre farlo cadere sfoderando le armi, perché Milosevic pur di non perdere il potere ha dato vita a un ibrido efficace, postcomunista-neonazista, come il suo emulo e alleato Lukashenko in Bielorussia. Per gli europei orientali Milosevic non è Hitler, non vuol conquistare l’Europa, ma può divenire un modello per futuri dittatori rosso-bruni, a cominciare dalla potenza atomica che è la Russia”.

... Solo le democrazie occidentali son lente a capire, a studiare la lunga storia che ha potuto secernere queste speciali imbecillità e guerre razziali, nel cuore d’Europa. Forse capirebbero meglio, se non avessero la memoria tanto emiplegica: se non si limitassero a ricordare Auschwitz, che non è precisamente quel che accade adesso in Kosovo. Se avessero in mente anche i crimini contro l’umanità compiuti dal comunismo, e avessero cominciato a fare i conti con questa seconda memoria del secolo: mai guardata in faccia, mai fonte di rimorsi, vergogna. Forse intuirebbero meglio quel che accade, se pensassero i due totalitarismi con analoga intensità”.

da: Barbara, la nostra neocon preferita, di Christian Rocca, IL FOGLIO, 4 gennaio 2006

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